Appuntamento
agiovedì6 novembre, alle ore 18.00 presso la Galleria ARCA DI NOESIS a
Roma, che vede la presenza di Andrea Di Consoli, scrittore e giornalista
e Mario Lavia, critico letterario, per parlare del nuovo libro“Il
bianco non è un colore” di Licia Ugo, regista Rai e autrice di
racconti di successo. L’attrice Natalia Simonova leggerà alcuni brani
del libro.
La
presentazione del romanzo si terrà in via Ostilia 3-B - Colosseo Roma, curata
dalla manager culturale Sylvia Irrazábal, con la presenza di giornalisti
scrittori e artisti.
“Il
bianco non è un colore” (Affiori-Giulio Perrone editore)è
un romanzo che già nel titolo si sposa con l’arte, e partendo dal bianco, dal
non colore che anche nel mondo artistico trova un ampio spazio creativo, racconta
la storia di “un cuore migrante in cerca di verità, che porta la protagonista a muoversi
come una falena nella notte, alla ricerca di quella luce che dovrebbe e
potrebbe aprirle gli occhi”.
Alla
scrittrice abbiamo chiesto: Licia di solito tu scrivi racconti, che cosa ti
ha portato ad affrontare la misura lunga del romanzo?
“Da sempre sentivo la formula del racconto più
aderente a quello che volevo esprimere. Incisiva, veloce, con microcosmi e
dinamiche veloci, un di lampo nel buio. Negli ultimi anni ho iniziato a
scrivere poesia, dove il tempo è la folgorazione di un attimo, un’emozione, un
taglio di luce che fa male. Poi qualcosa è cambiato ancora, e dall’estremo
“piccolo e sintetico” mi è venuto il desiderio di scrivere “una storia”, che
avesse un background sociale, che non fosse solo un faro puntato sulle proprie
emozioni”.
Ci sono state persone
che hanno ispirato la creazione dei personaggi che appaiono nel libro?
“Anche questa è una bellissima domanda.
Implica quello che secondo me è l’aspetto più importante di chi scrive, e cioè
l’ascolto, l’osservazione delle persone che sfiori, mentre attraversano la tua
strada e che senti parlare. Quindi sì, a volte una frase, una storia lontana, un
colore speciale degli occhi, ti colpiscono e non vuoi che vadano perdute. C’è
da dire che io scrivo di getto, mi viene il personaggio, l’idea, i suoi tratti,
e da lì parto e si dipana la storia. E poi rileggendo mi sono accorta che
alcune caratteristiche le avevo inconsciamente tratte da mio padre. Quindi sì,
di mio padre mi colpiva sin da quando ero piccola il suo dolore per aver dovuto
abbandonare la sua terra, l’Istria,(oggi Croazia). E questo grande rimpianto
l’ho inserito nel personaggio di Javìd”.
Tu affronti i grandi temi della migrazione e
dell’infanzia abbandonata, ritieni che oggi siano centrali nella creazione di
storie?
“Trovo che in alcuni libri ci sia una mancanza di
storicità, cioè tutto succede in un mondo che appare sempre uguale, dove
prevalgono le dinamiche familiari. E’ come se ci fosse un grande bisogno di
chiudersi in un mondo antico in cerca di protezione, di rituali consolatori, di
happy end. La coscienza si risveglia quando la realtà diventa specchio e si ha
il coraggio di guardarsi in faccia”.
Le vicende di Milena, Javìd, Olga e Alexei si
dipanano nel libro in modo molto dinamico. La tua esperienza come regista ti ha
aiutato a trovare il ritmo che percorre il romanzo?
“Probabilmente
sì, credo di scrivere “vedendo” la scena, e questo mi piace, a condizione che
non si perda di profondità. In realtà sono tecniche diverse. Nei filmati c’è la
regista, ma il risultato è frutto di un rapporto collettivo, e quando tutto
funziona il risultato è eccellente. Ma nulla può superare la creazione
solitaria di uno scrittore che, di notte, pensa e ragiona con le sue creature.
L’occhio è il suo, il montaggio è il suo, e anche le musiche, che nel libro non
si sentono, ma ci sono, sono scelte da chi scrive”.

