mercoledì 29 ottobre 2025

“Il bianco non è un colore” il romanzo della giornalista e scrittriceLicia Ugo giovedì 6 novembre ore 18:00 presso la Galleria ARCA DI NOESIS di Roma

 


Appuntamento agiovedì6 novembre, alle ore 18.00 presso la Galleria ARCA DI NOESIS a Roma, che vede la presenza di Andrea Di Consoli, scrittore e giornalista e Mario Lavia, critico letterario, per parlare del nuovo libro“Il bianco non è un colore” di Licia Ugo, regista Rai e autrice di racconti di successo. L’attrice Natalia Simonova leggerà alcuni brani del libro.

La presentazione del romanzo si terrà in via Ostilia 3-B - Colosseo Roma, curata dalla manager culturale Sylvia Irrazábal, con la presenza di giornalisti scrittori e artisti.

“Il bianco non è un colore” (Affiori-Giulio Perrone editore)è un romanzo che già nel titolo si sposa con l’arte, e partendo dal bianco, dal non colore che anche nel mondo artistico trova un ampio spazio creativo, racconta la storia di “un cuore migrante in cerca di verità, che porta la protagonista a muoversi come una falena nella notte, alla ricerca di quella luce che dovrebbe e potrebbe aprirle gli occhi”.

Alla scrittrice abbiamo chiesto: Licia di solito tu scrivi racconti, che cosa ti ha portato ad affrontare la misura lunga del romanzo?

Da sempre sentivo la formula del racconto più aderente a quello che volevo esprimere. Incisiva, veloce, con microcosmi e dinamiche veloci, un di lampo nel buio. Negli ultimi anni ho iniziato a scrivere poesia, dove il tempo è la folgorazione di un attimo, un’emozione, un taglio di luce che fa male. Poi qualcosa è cambiato ancora, e dall’estremo “piccolo e sintetico” mi è venuto il desiderio di scrivere “una storia”, che avesse un background sociale, che non fosse solo un faro puntato sulle proprie emozioni”.

 


Ci sono state persone che hanno ispirato la creazione dei personaggi che appaiono nel libro?

Anche questa è una bellissima domanda. Implica quello che secondo me è l’aspetto più importante di chi scrive, e cioè l’ascolto, l’osservazione delle persone che sfiori, mentre attraversano la tua strada e che senti parlare. Quindi sì, a volte una frase, una storia lontana, un colore speciale degli occhi, ti colpiscono e non vuoi che vadano perdute. C’è da dire che io scrivo di getto, mi viene il personaggio, l’idea, i suoi tratti, e da lì parto e si dipana la storia. E poi rileggendo mi sono accorta che alcune caratteristiche le avevo inconsciamente tratte da mio padre. Quindi sì, di mio padre mi colpiva sin da quando ero piccola il suo dolore per aver dovuto abbandonare la sua terra, l’Istria,(oggi Croazia). E questo grande rimpianto l’ho inserito nel personaggio di Javìd”.


Tu affronti i grandi temi della migrazione e dell’infanzia abbandonata, ritieni che oggi siano centrali nella creazione di storie?

“Trovo che in alcuni libri ci sia una mancanza di storicità, cioè tutto succede in un mondo che appare sempre uguale, dove prevalgono le dinamiche familiari. E’ come se ci fosse un grande bisogno di chiudersi in un mondo antico in cerca di protezione, di rituali consolatori, di happy end. La coscienza si risveglia quando la realtà diventa specchio e si ha il coraggio di guardarsi in faccia”.


Le vicende di Milena, Javìd, Olga e Alexei si dipanano nel libro in modo molto dinamico. La tua esperienza come regista ti ha aiutato a trovare il ritmo che percorre il romanzo?

“Probabilmente sì, credo di scrivere “vedendo” la scena, e questo mi piace, a condizione che non si perda di profondità. In realtà sono tecniche diverse. Nei filmati c’è la regista, ma il risultato è frutto di un rapporto collettivo, e quando tutto funziona il risultato è eccellente. Ma nulla può superare la creazione solitaria di uno scrittore che, di notte, pensa e ragiona con le sue creature. L’occhio è il suo, il montaggio è il suo, e anche le musiche, che nel libro non si sentono, ma ci sono, sono scelte da chi scrive”.